Il lunedì nero della Borsa in Giappone. Gli effetti del carry trade, cos'è e che conseguenze può portare.
Tensioni geopolitiche e timori inflazionistici nel paese del Sol Levante hanno scosso i mercati lunedì scorso. Lo yen si indebolisce e l'economia giapponese vacilla. Mentre le banche centrali navigano in acque inesplorate, bilanciando la lotta all'inflazione con la necessità di sostenere la crescita economica.
La scorsa settimana si è aperta con un evento nei mercati che ha scosso profondamente molti investitori, ovvero il tonfo dell’indice giapponese Nikkei con un crollo del 12,4%, il più alto dal 1987, a seguito della decisione della Bank of Japan di alzare i tassi di interesse. Poi ritrattato in settimana.
Si è trattato di una mossa in controtendenza rispetto alle altre principali banche centrali globali, influenzata anche dai dati statunitensi che riportavano una contrattura nell’economia americana.
Questo crollo ha causato una reazione a catena, con anche le borse americane ed europee che hanno chiuso in negativo, anche se ben distanti dalla doppia cifra lasciata da Tokyo in un giorno solo, dopo che aveva toccato il suo massimo storico lo scorso 11 luglio.
Quindi crisi nera in tutto il mondo? Pronti a una recessione galoppante nei mesi a venire? Il ritorno della crisi economica del 2008? Assolutamente no, il giorno dopo il Nikkei è risalito del 10,2% ristabilizzando parte delle perdite avute il giorno prima e riprendendo a salire lentamente nei giorni successivi.
Allora perché c’è stato questo panico di un giorno e perché è nato nel mercato del Sol Levante?
Al centro di questo terremoto finanziario troviamo il cosiddetto "carry trade" e le politiche monetarie delle banche centrali, in particolare quella della Bank of Japan. Ma che cos’è esattamente e perché ha colpito soprattutto il Giappone?
Si tratta di una strategia di investimento dove si prende in prestito denaro in una valuta con tassi di interesse bassi (come lo yen giapponese) per investirlo in asset denominati in valute con tassi di interesse più elevati. Questa pratica permette agli investitori di guadagnare sul differenziale dei tassi.
Per anni, lo yen è stato una delle valute preferite per questa pratica a causa dei, o grazie ai, tassi di interesse estremamente bassi in Giappone. Questo meccanismo può generare profitti significativi quando i tassi di interesse rimangono stabili, ma comporta rischi elevati se le condizioni cambiano improvvisamente, come è stato.
L’improvviso aumento dei tassi da parte della Banca del Giappone, in netto contrasto con le altre banche centrali degli Stati del G7, ha causato un rapido apprezzamento dello yen, costringendo molti investitori a chiudere le loro posizioni di carry trade, con conseguente vendita massiccia di asset giapponesi.
Queste ultime scelte provenienti da Tokyo sollevano interrogativi sulla sincronia delle politiche monetarie globali. Negli ultimi due anni abbiamo assistito a un fenomeno simile da parte di altre istituzioni come FED e BCE, ma in direzione opposta, intraprendendo una serie di rialzi dei tassi in risposta all'aumento dell'inflazione post-pandemia.
Tuttavia, il tempismo tardivo durante i picchi inflazionistici del 2022-23 e l'entità di questi rialzi sono stati spesso criticati per aver soffocato la ripresa, portando a una contrazione dell'attività economica e a una potenziale recessione in molte economie sviluppate.
Ora, nonostante i segnali di raffreddamento dell'inflazione, molte banche centrali stanno mantenendo una posizione cauta, ritardando i tagli dei tassi, il che causa contrazioni nell’attività economica di un paese, influenzando negativamente investimenti e consumi.
Come due anni fa le banche centrali hanno reagito in ritardo all'inflazione, ora stanno correndo il rischio di mantenere una politica restrittiva troppo a lungo, con potenziali effetti negativi sulla crescita economica ad ogni termine.
Oltre a ciò, la mossa della BOJ, in contrasto con l'atteggiamento di altre banche centrali, evidenzia una mancanza di coordinamento globale che può portare a volatilità nei mercati finanziari, come visto dal crollo e rimbalzo di lunedì e martedì.
Quanto avvenuto la scorsa settimana non è l’inizio di una crisi economica globale, come detto da alcuni il primo giorno, ma serve comunque come campanello d'allarme per i policy maker globali, cioè "coloro che hanno il potere di elaborare e determinare orientamenti e strategie in merito alle questioni più rilevanti per la società e la politica" come descritto nell’Enciclopedia Treccani. Tutto ciò evidenzia la necessità di un approccio più sfumato e coordinato alla politica monetaria in un'epoca di crescente interconnessione economica.
Mentre le banche centrali navigano in acque inesplorate, bilanciando la lotta all'inflazione con la necessità di sostenere la crescita economica, sarà cruciale una maggiore flessibilità e un'attenzione costante ai segnali provenienti dall'economia reale e dai mercati finanziari.
La lezione chiave da trarre è che, in un mondo economico in rapida evoluzione, la rigidità nelle politiche monetarie può portare a conseguenze indesiderate. Solo attraverso un approccio adattivo e collaborativo fra le istituzioni nazionali e internazionali sarà più facile affrontare efficacemente le sfide economiche globali del futuro.
La citazione di oggi è la seguente:
“Lavora duramente nel silenzio. Lascia che sia il successo ad essere il tuo rumore.”
Anonimo
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