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L'intervista all’economista Pietro Reichlin in esclusiva su Tiscali.it: manovra, pensioni, Fornero e soluzioni

Secondo l'economista in Italia “le promesse pensionistiche sono troppo elevate e i contributi che i giovani devono pagare per sostenerle sono alti perché ci sono molti più anziani che lavoratori attivi”.

Carlo Ferraiolidi Carlo Ferraioli   
Manovra di bilancio, pensioni: l’economista Pietro Reichlin in esclusiva su Tiscali.it

“La mia impressione è che le misure contenute all’interno della manovra in merito al tema delle pensioni siano più che altro misure di bandiera perché alla fine, diciamocelo, la platea di coloro che saranno potenzialmente interessati – ad esempio – a Quota 103 è limitatissima: le stime ci parlano di sole 20mila persone. Così si individua una fascia molto ristretta e specifica di popolazione, e ciò ci introduce già a un punto preminente: le disuguaglianze”. È duro Pietro Reichlin verso i nuovi provvedimenti adottati dal Governo Meloni e contenuti nella nuova e di recente approvazione ‘Manovra di bilancio 2024’. L’economista, che è professore ordinario di Economia alla LUISS, ha conseguito il Dottorato di ricerca in Economia alla Columbia University e ha insegnato durante la sua carriera nelle università di Roma La Sapienza, Chieti e Napoli Federico II oltre che presso la University of Pennsylvania, University of California Los Angeles e Columbia University, restituisce un preciso “significato politico” a quanto approvato su pensioni e previdenza sociale. Perché stiamo parlando di “un governo che nelle sue diverse componenti ha sempre fatto della battaglia alla legge Fornero una bandiera, e che adesso qualcosa deve pur sbandierare”.

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Sistema in deficit e vantaggi per pochi

In molti nelle ultime settimane avevano additato la manovra come peggiorativa rispetto alla stessa Fornero. “Forse non la peggiora, ma parliamo di un sistema pensionistico, il nostro, che - bisogna ricordarlo – è sempre e strutturalmente in deficit. Ad occhio e croce mi pare che siano almeno una quarantina di miliardi. Tutto dovrebbe reggersi sul contributivo”, spiega il docente, “e per questo motivo essere in equilibrio. Ma poi di fatto è pieno di deroghe e di eccezioni, per cui l'età effettiva di pensionamento è molto prematura rispetto a quella nominale, che sarebbe 67 anni. Così ci ritroviamo tante pensioni al minimo e non sorrette da contributi”. Eppure “se la maggioranza pensa che sia necessario introdurre queste misure evidentemente valuta il tema come sensibile, però, ripeto, il vantaggio sarà davvero per pochi”.

Cortocircuito-paese

Pesi e contrappesi, equilibri e squilibri che in Italia persistono da ben più di una legislatura e che “sono stati generati a partire dagli anni ’90, perché la riforma delle pensioni è stata fatta troppo tardi. Poi sussiste una dinamica demografica molto sfavorevole perché il nostro è un Paese dove il rapporto tra anziani e persone in età lavorativa è squilibrato, inoltre il tasso di partecipazione è basso rispetto al potenziale e ciò implica un pericoloso cortocircuito”. Ma perché? Secondo Reichlin in Italia “le promesse pensionistiche sono troppo elevate e i contributi che i giovani devono pagare per sostenerle sono alti perché ci sono molti più anziani che lavoratori attivi”.

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Di parallelo al tema delle pensioni e della previdenza sociale viaggia, infatti, quello del lavoro, del lavoro povero e dei salari minimi, focus su cui pure la maggioranza sta battendo, auspicabilmente con soluzioni visibili e reali non solo sul lungo periodo, ma a partire dall’oggi: “Bisogna tenere un po’ ferma la barra: piuttosto che ‘scassare’ il sistema vanno ridimensionati i contributi ai lavoratori con redditi bassi in virtù del contrasto al lavoro povero, ma in modo intelligente così da non incidere sull'equilibrio del sistema pensionistico, pena il rischio di scaricare ancora una volta il barile sul sistema fiscale complessivo, in un Paese dove l'imposizione fiscale è arrivata al 43%”. “È un cane che si morde la coda perché aumenti le tasse e scoraggi la partecipazione al lavoro, abbassi i salari netti e i giovani se ne vanno all'estero, questo è il risultato”.

Ape sociale

L’Ape Sociale (che sta per anticipo pensionistico) verrà prorogata sino al 31 dicembre 2024 ma con maggiore requisito anagrafico: anziché con gli attuali 63 anni si potrà accedere alla prestazione con 63 anni e cinque mesi. “Sono piccole correzioni che vengono messe per tappare dei buchi”, continua Reichlin. “Anche questo è un simbolo dell'iniquità della misura perché per garantire a una categoria molto ristretta di persone di andare in pensione un pochino prima - che poi magari, chissà, non sono neanche le persone che ‘se lo meriterebbero’ in un certo senso - incidi sull'Ape sociale che è fatta per chi invece versa in una situazione di reale bisogno, perché o disoccupato o inabile. Per me non ha alcun senso”.

FONTE ISTAT - Il rapporto debito/PIl dal 1861 a oggi

Chi ha più bisogno

L'economista è da sempre vicino ai temi della sofferenza economica, della povertà e del miglioramento sociale e non usa mezzi termini, “Vanno individuate le categorie che soffrono di più, bisogna capirne il motivo e poi bisogna ragionare sul come possiamo agire se veramente vogliamo aiutarle”. Secondo Reichlin il luogo della sofferenza, cioè di chi sta peggio e ha priorità di essere aiutato – pensiamo alle pensioni minime -, non si risolve aprendo al tema (delle pensioni, n.d.r.) come se fosse un capitolo generico, ma occorre andare nello specifico. “Certo, parlarne è popolare perché tutti siamo preoccupati della nostra pensione, però vorrei ribadire che farlo così non ha il benché minimo senso né orientamento”.

Pietro Reichlin a "LA7"
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