La pazza idea di Netanyhau che scatenerebbe la rabbia di Wall Street e della Fed
Mettiamo subito in chiaro un punto fondamentale: i mercati azionari non temono le guerre, come dimostrano chiaramente i grafici di borsa. La Russia ha invaso l’Ucraina il 24 febbraio del 2022. Il conflitto in corso tra Israele e Hamas è scoppiato il 7 ottobre del 2023. Questi due eventi drammatici non hanno impedito allo S&P 500 (l’indice più significato non solo della Borsa americana ma del mondo intero) di proseguire la sua corsa e di aggiornare ripetutamente i suoi nuovi massimi storici.
Perché le guerre non deprimono i mercati azionari? La risposta è abbastanza semplice: perché i conflitti tutto sommato fanno bene al Pil (prodotto interno lordo). Tanti sono i settori strettamente connessi con l’economia di guerra, a partire dai settori tecnologicamente più avanzati.
Diversi fondi di investimento passivi replicano l’andamento dell’indice MarketVector Global Defense Industry ovvero replicano la performance di aziende internazionali operanti nell’industria militare o della difesa. Il fondo di maggiori dimensioni è il VanEck Defense. Questo fondo nel corso dell’ultimo anno ha messo a segno un rialzo stellare del 47%. La guerra fa male alle popolazioni coinvolte, ma fa bene al conto economico di molte aziende e multinazionali.
Tuttavia anche la guerra deve rispettare un limite ovvero non può oltrepassare una certa soglia oltre la quale diventa seriamente un problema per tutti. E secondo quanto rivelato dal New York Times, Benjamin Netanyhau potrebbe presto varcare questo limite.
Il più autorevole quotidiano americano ha raccontato che il leader israeliano starebbe addirittura pensando di bombardare i pozzi di petrolio iraniani come risposta alla recente pioggia di missili inviata da Teheran contro Israele. Secondo il New York Times una operazione di questo tipo alimenterebbe uno shock petrolifero globale perché l’Iran non starebbe a guardare e a sua volta (come reazione) colpirebbe le raffinerie in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi. Già nel 2019 i ribelli Houthi sostenuti da Teheran hanno rivendicato il merito di un attacco alle installazioni petrolifere saudite nel 2019.
Uno shock petrolifero manderebbe in pezzi il duro lavoro fatto dalla Federal Reserve (e in Europa dalla BCE) per domare l’inflazione esplosa nel corso del 2022. Come noto le banche centrali per normalizzare la corsa dei prezzi hanno dovuto rapidamente far lievitare il costo del denaro con una serie di rialzi dei tassi. L’operazione è andata a buon fine e oggi finalmente l’inflazione sembra essere sotto controllo.
Gli Stati Uniti sembrano essere riusciti ad assorbire i rialzi dei tassi di interesse senza cadere in recessione. Recentemente il presidente della Fed, Jerome Powell, ha descritto un quadro molto positivo dell’economia americana e questo spiega il buon andamento di Wall Street e l’ottimismo degli investitori.
E’ evidente però che uno shock petrolifero farebbe riesplodere l’inflazione e costringerebbe Fed e Bce a intervenire nuovamente per aumentare i tassi e questa volta la caduta in recessione sarebbe inevitabile. Ancor prima di cadere in recessione capitolerebbero Wall Street e tutte le altre principali borse mondiali con conseguenze potenzialmente molto pericolose per l’economia globale.
Fino ad ora la politica americana ha fallito nel tentativo di frenare Netanyhau. Le pressioni di Biden non sono servite a impedire la distruzione di Gaza e l’estensione del conflitto in Libano. La dottrina militare israeliana è cambiata ed è diventata molto più aggressiva. L’Iran è nel mirino e il bombardamento delle raffinerie petrolifere è sicuramente alla portata della potenza militare dell'IDF, ma forse Wall Street potrebbe riuscire dove ha fallito Washington: spingere Israele a più miti consigli.