Salari reali a picco: le 3 cause che hanno impoverito gli italiani negli ultimi 15 anni
Le retribuzioni reali in Italia sono inferiori di 8,7 punti percentuali rispetto al 2008. E' la certificazione del fallimento del Jobs Act che avrebbe dovuto aumentare l'occupazione stabile e rilanciare i salari

Il rapporto mondiale sui salari pubblicato dall’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) ha certificato una realtà ben nota a milioni di lavoratori italiani: dal 2008 a oggi i salari reali hanno subito una contrazione dell’8,7%, segnando il peggior risultato tra i Paesi del G20. La crescita del 2,3% registrata nel 2024 non è stata sufficiente per compensare le perdite accumulate negli ultimi quindici anni. Le cause di questa situazione sono molteplici, ma tre fattori principali emergono con maggiore evidenza.
Bassa crescita della produttività
Secondo gli economisti uno dei motivi principali dell’impoverimento dei lavoratori italiani è la bassa crescita della produttività. L’Italia ha registrato livelli di produttività inferiori rispetto ad altri Paesi avanzati, compromettendo la capacità delle imprese di aumentare i salari. Senza un incremento dell’efficienza del lavoro e dell’innovazione, le aziende faticano a generare profitti adeguati per sostenere retribuzioni più elevate. Questo fenomeno è particolarmente evidente in settori caratterizzati da alta intensità di manodopera e scarsa innovazione, come il commercio e i servizi tradizionali, che costituiscono una parte rilevante dell’economia nazionale.
L’effetto inflazione
Un altro fattore chiave è stato l’effetto dell’inflazione, che ha eroso il potere d’acquisto dei salari. L’aumento dei prezzi, accelerato dagli shock energetici e dalle tensioni geopolitiche legate alla guerra in Ucraina, ha ridotto il valore reale degli stipendi. In molti Paesi, politiche di adeguamento salariale hanno permesso di contrastare parzialmente questa tendenza, mentre in Italia gli aumenti nominali non sono stati sufficienti a tenere il passo con l’inflazione, aggravando il divario tra redditi e costo della vita.
Il costo della precarietà e dalla mancanza di tutele salariali
Infine, un ruolo determinante è stato giocato dalla precarietà del lavoro e dalla carenza di tutele salariali. La diffusione di contratti a tempo determinato e forme di impiego instabili ha abbassato la media retributiva, penalizzando soprattutto i giovani e i lavoratori meno qualificati. Inoltre, l’assenza di un salario minimo legale ha lasciato ampie fasce della popolazione senza una protezione adeguata contro la compressione dei salari.
Le responsabilità della politica italiana
L’Italia ha la peggiore performance salariale tra le economie avanzate e questo evidenzia le grandi responsabilità della classe politica italiana, che su questo fronte ha totalmente fallito. Nonostante l'evidente declino delle retribuzioni, i vari governi che si sono alternati alla guida del Paese in alcuni casi hanno ignorato la questione, in altri si sono limitati a varare misure demagogiche.
Il flop del Jobs Act
Simbolo della demagogia della classe politica italiana è il Jobs Act varato dal governo Renzi nel 2016. Presentato come una riforma epocale per modernizzare il mercato del lavoro, si è rivelato un clamoroso fallimento. Avrebbe dovuto aumentare l'occupazione stabile e rilanciare i salari, ma riducendo le tutele per i lavoratori ha semplicemente favorito la precarizzazione. A distanza di anni i dati dell’ILO confermano impietosamente il fallimento del Jobs Act. Una riforma che rimane una macchia indelebile nella storia del Partito Democratico, che l'ha promossa e appoggiata, tradendo le aspettative di chi sperava in una politica realmente a favore dei lavoratori.