Powell non teme Trump e lo sfida: la Fed congela i tassi di interesse. Ma chi ha davvero ragione?

Nell’attesa riunione del 7 maggio la Federal Reserve ha deciso di mantenere invariati i tassi di interesse nel range compreso tra il 4,25% e il 4,50%, proseguendo così la pausa iniziata a dicembre 2024 . Durante la conferenza stampa, il presidente Jerome Powell ha sottolineato che, nonostante le pressioni politiche per un taglio dei tassi, la banca centrale ha deciso di seguire un approccio "wait and see" ovvero attendista, ritenendo che l'attuale politica monetaria sia appropriata per affrontare le incertezze economiche.
Lo scontro tra Powell e Trump
Powell ha dunque deciso di non piegarsi a Donald Trump, che da tempo chiede a gran voce un taglio dei tassi di interesse, addirittura minacciando azioni concrete per “licenziare” il presidente della Fed, operazione tuttavia non semplice perché come noto la banca centrale americana è autonoma dal potere politico. Ma chi ha davvero ragione? Powell o Trump? Anche tra gli analisti non esiste un fronte compatto, le opinioni sono diverse.
La tesi a favore di Powell
I sostenitori della decisione della Fed sottolineano la necessità di cautela in un contesto economico incerto. Il presidente Jerome Powell ha evidenziato i rischi crescenti di inflazione e disoccupazione, attribuendo parte di queste preoccupazioni alle politiche tariffarie dell'amministrazione Trump, che potrebbero aumentare i prezzi e rallentare la crescita economica, ovvero far precipitare l’economia americana nello scenario peggiore in assoluto: la stagflazione.
Cosa è la stagflazione
La stagflazione è una situazione economica in cui si verificano contemporaneamente stagnazione (bassa o nulla crescita economica) e inflazione elevata (aumento dei prezzi). È un fenomeno anomalo perché, di solito, l'inflazione cresce quando l'economia è in espansione. La stagflazione è difficile da gestire con la politica economica, perché combattere l'inflazione rischia di peggiorare la stagnazione e viceversa. Un famoso esempio si è verificato negli anni '70 dopo lo shock petrolifero.
La tesi a favore di Trump
D'altra parte, i critici di Powell sostengono che la Fed avrebbe dovuto abbassare i tassi di interesse per stimolare l'economia e non correre il rischio di dover agire un’altra volta in ritardo, così come accaduto con l’aumento dell’inflazione nel 2021, sottovalutata e definita “transitoria” dalla banca centrale americana. Errore grave che il mercato ovviamente ricorda e che dà forza alla richiesta di un taglio immediato del costo del denaro per prevenire lo scoppio di una recessione.
Necessario attendere per capire chi ha ragione
Sarà necessario attendere alcune settimane, o forse qualche mese, per valutare con chiarezza l’effetto dei nuovi dazi imposti da Trump sull’andamento dei prezzi. Solo una volta misurato l’impatto reale sull’inflazione si potrà giudicare se la linea prudente di Powell, con tassi fermi e atteggiamento attendista, sia stata eccessiva oppure giustificata. L'unica cosa che si può dire con certezza è che il mondo intero avrebbe fatto volentieri a meno della dannosa e inutile guerra commerciale scatenata dal nuovo presidente americano.