La crisi inizia a far paura, guru di Wall Street punta tutto sul crollo dei mercati azionari

Michael Burry probabilmente non è un nome noto al grande pubblico ma nel mondo della finanza è uno dei guru più ascoltati. Il motivo? E’ stato uno dei pochi a prevedere il crollo dei mercati finanziari nel 2008 (a causa della crisi dei mutui subprime) arrivando a guadagnare oltre 800 milioni di dollari. La sua storia è stata raccontata in The Big Short (La grande scommessa) film capolavoro del 2015 diretto da Adam McKay, che ha collezionato 5 candidature e una vittoria agli Oscar. Dalla crisi subprime in poi è diventato uno degli investitori più monitorati di Wall Street. Non è dunque sfuggita la sua ultima scommessa: più di 1,6 miliardi di dollari sul crollo dei mercati azionari.
La società di investimenti di Burry, Scion Asset Management, ha infatti impegnato più del 90% del suo portafoglio in opzioni put contro fondi che seguono lo S&P 500 e il Nasdaq 100. Un'opzione put dà il diritto, ma non l'obbligo, di vendere un bene o strumento finanziario a un prezzo concordato entro una data futura. Si tratta dunque di strumenti derivati che consentono di guadagnare se le quotazioni (in questo caso quelle dello S&P 500 e del Nasdaq 100) scendono rispetto ai livelli attuali.
La notizia ha avuto ovviamente una grande eco nei media finanziari e sta terrorizzando milioni di investitori che si erano riaffacciati a Wall Street rinfrancati dal recupero dei principali indici nel corso del 2023. La Cnn si è chiesta: cosa sa Michael Burry che noi non sappiamo? In realtà i motivi per essere pessimisti sui mercati non mancano e sono noti a tutti. Gli analisi concordano nell’indicare tre cause principali di preoccupazione.
Inflazione e aumento dei tassi: la corsa dei prezzi sia negli Stati Uniti che in Europa ha rallentato rispetto ai mesi passati, ma la frenata non è stata ancora sufficiente a porre definitivamente fine al ciclo rialzista dei tassi di interesse da parte delle banche centrali. Gli economisti non escludono nuovi rialzi del costo del denaro da parte della Fed e della Bce e in ogni caso (anche se non dovessero esserci) difficilmente i tassi inizierebbero a scendere nel breve termine.
Rallentamento dell’economia: il rialzo dei tassi ha ovviamente conseguenze negative sull’andamento dell’attività economica. Negli Stati Uniti ci sono segnali di debolezza sul fronte della domanda dei consumatori mentre la Germania (la locomotiva europea) ha il motore in panne. Il rischio di una recessione è sempre più grande.
Crisi della Cina: infine a complicare le cose sta contribuendo anche la seconda economia del mondo dove stanno esplodendo alcune contraddizioni interne, prima fra tutte la bolla del mercato immobiliare che ha portato al default del numero uno del settore, il colosso Evergrande. La crescita cinese è destinata ad essere nettamente inferiore rispetto ai piani di Pechino e questo aggiunge ulteriori elementi di instabilità all'economia internazionale.